domenica 4 agosto 2019

Remain In Light - Talking Heads (1980)




Se Remain In Light non fosse del 1980 e uscisse in un qualsiasi domani, suonerebbe sempre il disco più futuristico mai fatto. Non sono molti i dischi di cui potrebbe essere detto altrettanto. Remain In Light è l’apogeo di un work in progress che ha testimoniato come il funk cerebrale e bianco dei newyorkesi Talking Heads si sia ad un certo punto espanso sotto lo sguardo vigile e prismatico di un Brian Eno allo zenith della sua creatività. La sua “weltanschuung” musicale permea di sé ogni momento del disco, dando vita ad un patchwork che, soprattutto sul primo lato (ragionando in termini di glorioso vinile), è un autentico shock. E’ il suono di un’orchestra funk di un futuro definitivo: tam tam spiritati, minimali chitarre afro, bassi che guizzano come gomme impazzite, fluorescenti figure sintetiche, cori da voodoo urbano. Tutto rimbalza come in un grande flipper, in una sinfonia post moderna che sposa alla prefezione nevrosi metropolitane e primordialità africana, un senso plastico quasi figurativo e figlio della pop art e lo stato dell’arte delle rivoluzioni sonore newyorchesi di fine anni ’70. Immagini sonore che saranno alla base di un suono post-umano come l’house, che finirà per riscoprire il pezzo più mediamente dance della raccolta, Once In A Lifetime. Dire che Once In A Lifetime è un brano intelligente significa affermare l’ovvio: ma non saprei come altrimenti esprimere la mia ammirazione per una costruzione che riesce a tenere insieme con splendido senso dell’equilibrio un David Byrne che pare un blue eyed rapper, una tastierina sintetica che si rifà allo spirito dei tempi, ed un ritornello che ti si pianta nel cervello e non vuole più saperne di uscire.

Nessun commento:

Posta un commento

editoriale

NOIZE ON THE BAYOU: COME E PERCHE'

Abituati a muoverci negli spazi ristretti e nei percorsi obbligati dell’attualità che continuamente ci incalza, restiamo paralizzati –...