lunedì 26 agosto 2019

Who's Next - Who (1971)




E dire che erano proprio loro, gli Who, che nel loro brano manifesto, My Generation, affermavano, con la sfrontatezza propria dei ventenni, la speranza di morire prima di diventare vecchi. Una spacconata sesquipedale, quella, che oggi, a 75 anni suonati, financo colui che l'aveva partorita rinnegherebbe senza troppi ripensamenti e che faceva il paio con l'altra boutade giovanilistica aggirantesi in quel d'Albione nei medi anni '60 e che recitava "Non fidarti di nessuno che abbia più di 30 anni". Nel 1971 Pete Townshend di anni ne aveva 26, Roger Daltrey e John Entwistle 27 e Keith Moon 25. Non quattro vecchi e bavosi arteriosclerotici, dunque, ma neppure dei ragazzini di primo pelo. Senza contare che dai tempi del loro vecchio slogan erano passati 6 anni che, alla luce degli accadimenti da allora succedutisi, sembravano 60. Qualche esempio? Il Dylan elettrico che a Newport menava scandalo annichilendo le vestali del politically correct in folk, il flower power che da Haight Asbury si era librato nell'aria penetrando le coscienze di un'intera generazione non solo americana, la messa pagana di Woodstock, lo scioglimento dei Beatles, il rock progressivo, le copule tra rock e jazz e, dulcis in fundo, il passaggio a miglior vita delle anime più belle di un mondo fantastico che ancor oggi chiamiamo rock (le 4 "J": Brian Jones, Jimi, Janis, Jim). I teppistelli incazzati di Acton e Shepherd's Bush erano diventati delle rockstar miliardarie e il movimento mod (incluse le scazzottate con gli eterni rivali, i rockers, sul lungomare di Brighton) era ormai un fenomeno sociale di cui si leggeva solo nelle enciclopedie del rock. Certo è che se il loro insensato desiderio fosse stato esaudito ci saremmo persi un capolavoro come Who's Next e il mondo sarebbe stato un posto un pò meno bello in cui vivere. Termine abusato come più non si potrebbe, capolavoro, ma che mai come in questo caso si rivela giustificato. Perché Who's Next non è solo il più grande album di una delle più grandi band di sempre, una band che sul proprio portfolio può permettersi il lusso di far svettare vessilli come Tommy, Live At Leeds e Quadrophenia (e scusate se è poco), ma è anche una delle più grandi fanfare di "rockofonia" mai apparse sulle scene del rock mondiale. Un disco che dal glorioso panorama del songbook della band si erge come l'ideale sintesi di ciò che gli Who avevano fatto nel decennio precedente e al contempo sontuoso trampolino di lancio per ciò che sarebbe stato il rock del futuro. Insomma un iper-cinetico coup de foudre che regalava al mondo una musica dal grandioso respiro epico e dal devastante impatto fisico, impreziosita da schegge di futuro (le incursioni del VCS3 che vengono incorporate nelle canzoni accanto alle scudisciate hard rock della Gibson di Townshend, l'unione spirituale con il santone elettronico minimalista Terry Riley, per non parlare dell'afflato mistico che aleggiava sul tutto, dovuto alla frequentazione di Townshend con il guru indiano Meher Baba) schegge di futuro, dicevamo, che non la stravolgono quella musica ma, nel momento stesso che essa si conferma sostanzialmente ben ancorata down to earth nell'impianto, nello spirito la proiettano nell'outer space avvicinandola decisamente all'idea platonica che gli antichi chiamavano "rock 'n' roll prossimo venturo".








Mauro Rollin' On The River Uliana

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