lunedì 26 agosto 2019

I Am Cold - Rip Rig + Panic (1982)



Di lunga data, solido, ma soprattutto fruttuoso il legame del Regno Unito con il jazz. Bisogna sfogliare all'indietro il calendario fino al 1919 per registrare il primo incontro ravvicinato tra il pubblico inglese e la musica di New Orleans, allorquando la mitica Original Dixieland Jazz Band viene ingaggiata per una serie di concerti all'ombra del Big Ben. A quello storico evento seguiranno anni pioneristici durante i quali i musicisti britannici si sottopongono ad una dura ma necessaria gavetta. Inutile dire, ovviamente, che in questi anni formativi nessuno di loro può prescindere dagli stilemi imposti dai maestri d'oltreoceano. Il british jazz comincia ad affrancarsi da matrici di chiara derivazione statunitense per arrivare a sviluppare caratteristiche più individuali, solo alla fine degli anni '60 e poi nei '70, quando una fantastica generazione di creativi verrà alla luce portando in pochi anni il jazz d'Albione verso una prodigiosa crescita. John McLaughlin (presto americano d'adozione), Mike Westbrook, Keith Tippett, John Surman, ma anche gruppi che si collocavano in quella twilight zone tra jazz e rock come Soft Machine, Brian Auger, If, Henry Cow, National Health, son tutti nomi che dovrebbero ancora far sobbalzare sulla sedia tutti coloro che amano masticare radici diverse da quelle dure e coriacee di stretta osservanza rock. Quando nel 1977 arriva lo tsunami punk sembra che quei due accordi sgangherati e rabbiosi di cui è foriero debbano travolgere tutto ciò che esisteva prima lasciando solo macerie. Più di qualcuno comincia a chiedersi preoccupato che fine avrebbero fatto le stimolanti commistioni tra rock e jazz che tanto avevano ammaliato il pubblico più avvertito. Del resto, gli umori circolanti veicolati da bands come Damned e Sex Pistols erano quanto di più lontano si potesse immaginare da partiture pan-jazzistiche o da ardite copule con l'improvvisazione libera. Nemmeno un giro completo di calendario e nel 1978 arriva la risposta con la nascita del Pop Group. Due album, Y del 1978 e For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder? del 1980 e l'antifona appare subito chiara. Pur non potendo essere definiti formalmente due album jazz, entrambi lo possono essere considerati nello spirito e qua e là anche nella lettera per via di più di un inserto free e qualche scheggia funk. Quando il Pop Group si scioglie, il multistrumentista Gareth Sager ed il batterista Bruce Smith formano a Bristol i Rip Rig + Panic. I due si assicurano i servigi del tastierista Mark Springer (autentico genio delle tastiere nonché fervente seguace del movimento d'avanguardia di Darmstadt: Stockhausen, Berio, Boulez, Nono), del bassista Sean Oliver e della cantante Neneh Cherry (figliastranoblesse oblige, del trombettista Don Cherry, nonchè moglie del batterista Bruce Smith) e tutto si chiarisce ulteriormente. Già il nome che i cinque si danno è illuminante: Rip Rig + Panic è infatti il titolo di un album del 1965 del sassofonista Roland Kirk, un funambolo degli strumenti a fiato (riusciva a suonare fino a quattro sax contemporaneamente) che ha sempre goduto di altissime stima e considerazione presso la comunità rock (son certo che più di qualcuno ricorda ancora quando Ian Anderson, il leader flautista dei Jethro Tull, lo additava come sua principale influenza).  Quanto alla musica, ciò che è contenuto nel loro primo album God del 1981 (pubblicato in origine come doppio EP) è quanto di più straordinario sia dato ascoltare. Un uppercut culturale in pieno volto. Mai sentito prima qualcosa di così meravigliosamente disarticolato! Un eccitante melange di jazz, funk, soul, hip hop, afro e rabbia punk che lascia esterrefatti. Libertà sfrenata e fantasia al potere per un manipolo di anarcoidi che fa subito centro al primo colpo. Passa meno di un anno e nel giugno 1982 vede la luce, ancora nella formula di doppio EP, I Am Cold, degno successore di cotanto fantastico esordio. Un disco semplicemente divino. Chi bazzicava i negozi di dischi nei primi anni '80 non può non essere stato stregato da un album delizioso come I Am Cold. Non è fascino discreto quello emanato da questi due pezzi di plastica nera; è proprio l'attrazione fatale che ti pervade in ogni cellula data dalla consapevolezza di trovarti al cospetto di un qualche cosa di superiore. Non sono molti i dischi dello stesso periodo di cui possa esser detto altrettanto: mi vengono in mente Night And Day di Joe Jackson, English Settlements degli XTC, Sandinista dei Clash e non moltissimo d'altro. Eppoi tra questi solchi si cela l'arma segreta dei Rip Rig + Panic: sono gli svolazzi e gli sghiribizzi trombettistici del profeta terzomondista Don Cherry che suonano la carica e vanno ad impreziosire con enfasi e visionarietà la nuda bellezza di un disco audace e spettacolare.   



 

Mauro Rollin' On The River Uliana

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