mercoledì 31 luglio 2019

Black Light - Calexico (1998) IN PREPARAZIONE




C’erano una volta gli anni ’80. Anni generalmente piuttosto invisi al popolo del rock, in quanto dominati da fenomeni musicali non precisamente edificanti. Onestamente, chi mai si è infiammato di fronte ad un disco di tecno-pop? Chi mai ha versato lacrime di fronte al declino di gente come i Duran Duran? Fortunatamente, rovistando con cura fra tanta plastica, anche negli anni ’80 qualcosa di appagante poteva essere trovato. Magari era necessario volgere lo sguardo verso terre sperdute, desertiche come quelle che costituiscono il sud-ovest degli States. Lì, tra cactus e pietraie potevi trovare gemme preziose come i Thin White Rope o i Giant Sand, gente forgiata da un ambiente duro che trovava rifugio in musiche meravigliose. Proprio dagli ultimi fuoriescono  Joey Burns e Joe Convertino, per dare vita nel 1996, a Tucson, Arizona, ai Calexico. Dopo un esordio nel 1995 che di nome faceva Spoke, nel 1998 i nostri giungono già al capolavoro. Perchè tale è Black Light, concept album evocativo affogato in un’ atmosfera messicana, scaldato dalla sabbia desertica e che possiede quella carica giusta di malinconia cui è facile abbandonarsi. Tra una manciata di introverse ballate acustiche, spiccano le sinuose movenze dello strumentale esoterico Gypsy’s Course che in apertura di disco ci investe, stordendoci, con un ubriacante fraseggio di fisarmonica e violoncello. Una bellissima orchidea sbocciata sul terreno di una soave tetraggine post-moderna che va ad arricchire un’opera irrinuciabile.

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